Il luogo in cui vive Dora é un villino isolato
lontano dalla città, tinto di una sfumatura rosata, come le antiche case
pompeiane.
La casa ha la zona notte che dà sul Vesuvio, con
l’orizzonte aperto della campagna. Un tappeto screziato di pratoline e di fiori
campestri, dai petali minuti, bianchi, gialli, azzurri, rosa, pervinca,
ondeggianti in un mare verde e verso le pendici del monte, una selva d’arbusti
e di ginestre, di pini, le ombrose chiome ad assediare il cielo. Lo scirocco
agita le fronde; nembi di aghi mulinano frusciando e si rovesciano sull’erba,
odorosa di resine. L’aria è satura di fragranze antiche.
All’altro versante della casa si offre il
panorama superbo del golfo di Napoli: da Nisida a Sorrento e al centro Capri,
l’isola dell’amore, con il suo profilo riconoscibile, quello di un corpo di
donna incinta riverso sul mare. Il mare, racchiuso in una conca, è indaco,
rosato o azzurro sfolgorante indiviso dal cielo; a mezzogiorno è oro liquido,
con la luna di notte sfavilla d’argento. E’ un lago fiabesco che nasconde
tesori.
A Napoli Dora non è mai stata. A udire il suono
cadenzato della parola immagina una città fiorita. Per questa suggestione, ha
deciso che da grande vi abiterà. Appena può, scende in giardino, tra le aiuole
racchiuse in pietra lavica e la fontana circolare con una sirena zampillante al
centro della vasca tappezzata di muschio. Nell’acqua verde guizzano pesci
colorati.
Tra sponde di gelsomini, Dora bambina passeggia.
Indossa un vestito corto di cotone lilla, le maniche arricciate, i capelli
tagliati a baschetto, la frangetta nera e lucida sugli occhi stupefatti.
Il nonno è appena morto; lei l'ha intuito, perché
in casa tutti affermano che dorme.
Che
stupidi gli adulti, pensa, a non accorgersi che lei sa ben oltre di
quanto i bambini della sua età possano capire.
Suo nonno è stato in vita una figura evanescente
e ha lasciato il mondo ancor prima di morire. Sua madre piange, nascosta dietro
la tenda del balcone, gli occhi febbrili a guardare verso la sua giovinezza, al
tempo in cui suo padre non era cieco, a rimpiangerlo così.
La
cecità è la malattia peggiore, le ha sempre ripetuto.
Per eludere gli adulti, Dora si è rifugiata nel
giardino. L’andirivieni di persone, i volti compunti e le frasi sussurrate le
provocano disagio.
Schivo e assolato, il giardino é il luogo delle
dissolvenze dello spirito. Dora lo sa: lo spazio in cui si eclissano gli
spiriti cattivi e affiorano gli spiriti buoni. Quante ore trascorse seguendo le
tracce delle lumache sull’erba, con le guance arrossate dal riverbero del sole.
Sosta sulla panchina di pietra, gustando un
mandarino e poi s’inoltra nei vialetti, soffermandosi negli angoli profumati di
rose e si nasconde alla vista degli altri. Qui ha imparato a celare l’insofferenza
verso il mondo degli adulti. E’ come se entrasse in un territorio
incontaminato, il luogo originario della sua anima, delizia di colori e di
suoni, oasi silente del suo universo immaginario. Qui si stacca dalla
corporeità e si proietta in uno scenario fantastico di creature alate, esseri
leggendari: fate benefiche, ninfe ultraterrene, gnomi stravaganti, come ha
osservato nel libro che ha ricevuto in regalo a Natale.
Il giardino confina con i binari della linea
ferroviaria che congiunge Napoli a Sorrento. Sfreccia come un rapido il treno
di mezzogiorno; il suo richiamo sonoro si propaga in direzione del vento e
s’infrange nella quiete della piccola stazione poco distante.
Non ha mai oltrepassato il giardino, bambina
taciturna e sensibile. Là ha innalzato la sua dimora.
Vorrebbe prendere quel treno, da grande lo farà;
adesso si limita a intravedere i passeggeri di là dai finestrini, quando il
treno rallenta prima della curva. Immagina la loro vita, la vita oltre il
giardino, e sogna. Dora vorrebbe oltrepassare la recinzione, avventurarsi
liberamente lontano dai grandi che la intimoriscono. Nel suo animo il loro
mondo si riflette oscuro e inconoscibile.
Oggi i sogni non decollano, non riesce a
schiudere i suoi occhi ebbri di visioni; dentro di sé ha qualcosa che li fa
fuggire via. La morte del nonno è più tangibile dei suoi desideri. Non riesce a
sottrarsi al ricordo della sensazione che ha provato, quando, non vista dalla
mamma, si è avvicinata al corpo del nonno solo nella stanza, e ha toccato la sua
mano, tanto fredda e dura. Si è ritratta subito e ha avuto paura. Ancora è
pervasa dalla sgradevole impressione che le blocca la mente. Vorrebbe piangere. A un tratto si accorge di provare delusione per tutto: i suoi giochi
d’immaginazione le appaiono stupidi all’improvviso, il desiderio di
oltrepassare il giardino è diventato cattivo. Per la prima volta non sa stare
sola.
La
mamma mi starà cercando, pensa e il pensiero si amplifica, rivela un
imprevisto benessere, le apre il cuore alla gioia ritrovata. In fretta
abbandona il giardino per far ritorno a casa.
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