Dono del cuore

Di tutta l’estate avrei ricordato una domenica pomeriggio imprevista e difficile, e tuttavia indimenticabile. Roberto ed io passeggiamo, un pomeriggio d’agosto, istupiditi dall’afa, assenti l’uno all’altra. Ho accettato d’incontrarlo dopo il suo tradimento. La sua telefonata mi ha colto di sorpresa stamani, perché credevo di non rivederlo più. La separazione di questi mesi ha reso più esitante il suo sguardo, più incerte le sue parole. Una lieve indecisione nel mio passo e Roberto mi sfiora con un braccio. Alza gli occhi a guardarmi. Gli leggo in viso le parole che non osa dirmi: “Perché non mi parli?” “L’amore non esiste, è una cosa che fa male, che delude” è la mia risposta muta. Non riesco ad entrare in sintonia con lui; vorrei farlo, ma non posso. C’è un’altra donna con lui, lo avverto dalle pieghe che si formano agli angoli della sua bocca, una malinconia che rende così indifeso il suo sorriso, lo noto da un’occhiata sfuggente che si scambia con una ragazza che ci passa accanto. C’è in me una durezza pietrificata, dal giorno in cui mi confessò di avermi tradita. Ci fermiamo a guardare il mare. Roberto è impaziente, sottilmente agitato. Io sono immersa in me stessa. Fisso le lievi increspature dell’acqua e il mio spirito scivola tra le onde fino a che il mio io s’inabissa e scompare. Quanta voglia di dismettere il mio corpo, abbandonare quella vuota coscienza di me che mi perseguita, recidere, per una volta, gli inutili legami con il mondo ancora grevi. Adesso ho lo stesso respiro del mare. E’ un quieto sentimento d’immensità, fuggevole. E’ il respiro del mondo, lo so, che muove la vita, qui come a Hong Hong, a Koala Lampur come a Toronto. Affiancati fino a sfiorarci, il suo viso ha qualcosa di scomposto che rivela un pensiero combattuto. “Mi dispiace. Sono stato uno stupido.” Vorrei entrare nel suo cuore profondo, vederlo come lo vedevo prima, quando lasciai per lui la città in cui lavoravo, gli amici, ma non è più così. E’ quasi un soffio la sua voce. “Sara, dammi un’altra possibilità.” “Non posso.” Mi ero liberata dalla paura di affidarmi interamente a lui e avevo superato quel senso d’inadeguatezza che provavo di fronte ai legami affettivi. Avevo smesso di vivere per me stessa e avevo posto attenzione alla sua vita. Era accaduto naturalmente. Anche lui mi aveva fatto dono di se stesso. Lo avevo conosciuto ad una festa, in casa di amici. Si avvicinò, ero in piedi accanto al buffet, dopo aver captato la mia insofferenza, credo, e mi invitò ad abbandonare quel futile spettacolo di ostentazione: di carriere, di soldi, di vestiti firmati e di falsi sorrisi benevoli. “Fuggiamo via insieme?” Lo avevo guardato indecisa se fingere di non averlo udito o rispondergli con una battuta, ma entrambi iniziammo a ridere affrancandoci dalla noia. Non avevo mai visto un viso come il suo, con un’espressione di giocosità straripante da lineamenti forti, quasi severi. Alto e scarmigliato, con occhi vivaci dietro la sottile montatura dorata degli occhiali. Un aspetto da poeta visionario, con una carica di grande energia. Mi chiesi come avessi fatto a non notarlo prima, non tanto per il suo aspetto fisico, quanto per la sensazione di familiarità che m’ispirava. In seguito avrei scoperto il motivo di quella prima impressione: condividevamo la stessa passione per la vita. Nei mesi successivi Roberto mi aveva distolto da un’esistenza effimera e frenetica, e con la sua indole esuberante e generosa l’aveva intessuta di significato, irradiandola come il sole dei tropici, e allentata con un ritmo che concedeva valore ad ogni istante. Guardo il suo profilo che si staglia sullo sfondo turchese del mare. Rivela un’espressione d’insicurezza che lo rende diverso da come lo conosco. Un tempo non ci sarebbe stato bisogno di chiedergli a cosa stesse pensando perché eravamo in sintonia. Mi chiedo se abbia fatto bene ad accettare di rivederlo, anche se l’idea di rompere il matrimonio mi è insopportabile. Ho acconsentito senza convinzione, per un impulso momentaneo. In tutti questi mesi ho lasciato che la mia fantasia si attardasse nelle immagini di loro due insieme e ho cancellato dalla mia mente la nostra storia. “Ti ricordi la notte sulla spiaggia?” “Non si può recuperare il passato. E’ morto, finito.” “Non è vero, è rinchiuso dentro di noi.” Una sera d’estate, al termine di un’azzurra giornata perfetta, avevamo avuto la stessa intuizione. In quel momento, in piedi, fuori nel vento fresco, con la gioia che irradiava dai nostri corpi come fosse il sole, le nostre mani unite, avevo esclamato: “Com’è bella la vita!” E lui aveva fatto eco: “Meravigliosa da non sembrare vera.” Era stata una di quelle percezioni non comuni che accadono raramente nell’esistenza, una o due occasioni soltanto: la certezza simultanea e straordinaria di essere fatti l’uno per l’altra. Avevamo ballato al fuoco di un falò, una danza sacra e liberatoria, con le fiamme che guizzavano sui nostri corpi. Con la risacca che ci portava l’eco di un sogno conquistato. Avevo pregato mentalmente Dio di non farmi morire presto, perché volevo vivermi la felicità che provavo. Nacque un amore vigoroso e leale. Ci sposammo dopo due mesi. Il nostro rapporto, da quel momento in poi, si sincronizzò sulla stessa sequenza di emozioni. Non ci furono più barriere a separarci o la più piccola divisione: come se non esistesse più nessuna diversità fisica o mentale, d’età o di cultura. Mi sentii sciolta dal peso della carne e libera di essere ciò che volevo. “E’ stata un’avventura. Una storia senza importanza.” “Non è vero. La sua presenza è ancora tra noi.” E c’è anche il mio dolore intatto. Riprendiamo a camminare sul lungomare affollato. Intorno a noi barche negozi gente, chiassosa e indolente. Ho proposto d’incontrarci qui, dietro lo schermo protettivo della folla. Donne sole, coppie anziane, madri che richiamano i figli, gruppi di ragazzi rumorosi ci sfilano davanti. Il sole evapora dietro una nebbiolina lucente sulla linea bassa dell’orizzonte. Passano accanto volti anonimi, qualcuno si accosta in primo piano, afferro un dettaglio, il colore incerto dei capelli, il trucco accentuato; colgo un’espressione in uno sguardo che si sottrae al mio, fulmineo. Quante impressioni mi arrivano, celate nei discorsi. I pensieri si rimescolano alla rinfusa; incapaci di delinearsi, proiettano una vaga incertezza nell’animo. E’ una tensione che mi porta il cuore lontano da lui, in cerca di altro, non saprei dire cosa. Forse altri luoghi, altre aspirazioni, mi sembra di non venirne a capo, i desideri si moltiplicano ad ogni impulso dell’animo. E’ un'inquietudine che ha fatto capolino in fondo al mio essere e m’impedisce di trovare la pace. C’è un’altra meta da raggiungere, una città in cui arrivare, un altro uomo da amare. E’ la situazione che vivo da quel giorno nefasto. Roberto mi studia come se volesse distogliermi da me stessa, ma non sa come sbrecciare il muro che ci separa. Ha compreso l’intima mia disillusione; rimugina, intuisco, sulla fine della nostra storia e sulla mia indifferenza. Ha assunto un’espressione di sfiducia ed è come paralizzato. Il mio spirito invece, vagheggia sulle onde e si disperde oltre la linea della costa. Una vela è ferma sulla superficie lattiginosa. E’ lo sfondo di una cartolina, Saluti dal mare, com'è bella quest’impressione d’irrealtà, taglio la scena eliminando il superfluo: l’orizzonte, la barca, la geometria delle forme, la luce che sfrangia l’acqua. E’ un moto infinito, un eterno ritorno, un dejà vu, vissuto molte volte e sempre inafferrabile, navigo sospinta da un falso destino, lo stesso di prima d’incontrarlo. Potrebbe essere così per sempre. Un indistinto scorrere d'anni. Sono fuori del mio essere vero… Al termine del lungomare c’è la piazza dove fissammo il primo appuntamento. Roberto si ferma, sento che sta rivivendo l’euforia di quel momento, quando spensierati come bambini, decidemmo di entrare nel luna park, poco distante. Alla mia coscienza riemergono flash di sensazioni. Ore felici di un tempo svanito, quando per l’attesa d’incontrarlo m’intrattenevo con gli echi delle sue parole e dopo gli rivelavo il segreto delle mie emozioni. Vivevamo la gioia di appartenerci interamente e lo strepito del mondo si spegneva nel suo abbraccio. Poi la sua confessione, un’altra donna entrata nelle nostre vite. D’improvviso, quasi per gioco. E la mia risoluzione di non vederlo più. Fino a ieri. Roberto mi afferra la mano, la sento tremare nella mia; è il primo contatto tra noi, avverto nella sua stretta tutta l’implorazione che non riesce ad imprimere alla sua voce. “Voglio distruggere il ricordo di ciò che è accaduto.” Insieme percorriamo la strada che abbiamo fatto tante volte, tenendoci per mano. Attraversiamo la città camminando spediti. Lo seguo come ipnotizzata. Non è lui che mi ha tradito, ma qualcuno che si è sostituito a lui in questi mesi, forse un’ombra di ciò che era prima d’incontrarmi. Mi guardo in giro per cercare le tracce del nostro rapporto, com’era prima di separarci. Forse conduce una doppia vita. Forse adesso è con me, come ieri è stato con lei. E’ vestito male, con jeans scoloriti. Per la prima volta mi accorgo delle sue occhiaie, la spia di un suo malessere interiore. Forse ha trascorso troppe notti insonni, angosciato dalla sua colpa. Ne provo quasi piacere. Si ferma davanti ad un negozio di musica. Cerca qualcosa. Lo seguo all’interno. La commessa lo saluta con un cenno, sembra intenerita dall’espressione che ha preso il suo viso: un ardore negli occhi, una tensione nello sguardo come se cercasse qualcosa che, se non la trovasse, potrebbe arrestargli il respiro. Ritrovo il suo slancio di quando aveva da comunicarmi una nuova scoperta, un pensiero che lo aveva illuminato su noi due. Lo guardo mentre sceglie un CD dallo scaffale e senza mostrarmelo lo paga alla cassa. Lo infila nella tasca della giacca e mi fa cenno di seguirlo. Riprendiamo a camminare, sempre di corsa: è come se volesse consumare nei passi l’agitazione del corpo, l’ansia di annullare il distacco tra noi. Mi lascio condurre a casa. “Ricominciamo” mi dice. C’è il solito disordine irritante, ci sono le mie scarpe nell’ingresso, sullo scaffale della libreria c’è la nostra foto, scattata durante il viaggio in Marocco; i miei fiori preferiti fanno mostra in un vaso sul tavolo accanto al divano. Aspiro un intenso profumo di violette mescolato all’aria calda e appiccicosa dell’appartamento. Non riesco a spiegarmi come mi sia lasciata trascinare qui; mi provoca a disagio tornare dove abbiamo trascorso interi pomeriggi ad ascoltare i nostri corpi vicini. “Vado a farmi la doccia. Sono troppo accaldato.” Invece vuole prendere tempo, non sa come affrontarmi, sospetta che possa fargli una scenata, esplodere di rabbia ma resto passivamente ad aspettarlo. Prima di entrare in bagno accende il lettore dei CD e fa partire il pezzo che ha appena comprato. E’ un brano che ascoltammo in un locale di Marrakech, nei giorni in cui ci scambiammo mille promesse, e che non trovammo mai, pur cercandolo in seguito. Una canzone possente come un grido di liberazione, un ritmo impetuoso e struggente da scuoterti dentro. Mi preparo un caffè e a piedi nudi giro per la casa; mi sto sciogliendo, forse posso sconfiggere quell’impressione d’inesistenza che ha logorato questi mesi senza di lui. La vista sul mare è una cosa che mi è sempre piaciuta di questa casa. Un colore pesca viola tratteggia il cielo in lontananza. Piccole stelle sfavillano sull’acqua, le luci delle barche, mentre la città scivola nella sera, nel ritmo sospeso del tramonto, come se oltrepassasse un sipario magico che trasfigura la realtà ordinaria. Roberto resta in bagno un’eternità, per darmi il tempo, credo, di riprendere contatto con il nostro passato. Com’è dolce far riaffiorare dalle profondità la sua presenza intatta, il desiderio di far riposare in lui il mio animo ferito, l’antico gesto di rifugiarmi in lui nelle difficoltà del mondo, il piacere di affidargli i desideri più intensi o il tumulto delle mie paure. E’ incredibile come Roberto riesca a fare emergere la mia essenza, semplicemente standomi accanto. Vedo il fantasma dell’altra donna uscire dalla mia mente, eclissarsi e svanire nel crepuscolo che avanza dalla finestra aperta, come inghiottita dalle ombre che s’ispessiscono e rendono inconsistenti i mobili della stanza, gli oggetti disseminati in giro. Decido di affrontare la situazione. So che se mi tiro indietro, resterò sempre ingannata. Forse la mia intenzione di lasciarlo è stata una decisione superficiale, mi dico, che non andava oltre il mio orgoglio tradito. Voglio capire come reagisce il mio corpo in profondità. Mi accorgo di provare la stessa emozione di quando lo vidi per la prima volta, ed entrai nel vortice della sua esistenza. Roberto ritorna più rilassato, ma è ancora guardingo. Si avvicina lentamente e mi prende il viso tra le mani. Con gli occhi attaccati ai miei mi guarda dentro, fino in fondo alla mia ferita. Percepisco in lui lo sforzo di superare la mia fragilità con un patto tacito che non ci sarà un’altra prova come questa. Sento crescere il suo bisogno di saziarsi del mio perdono. Con le dita mi sfiora le labbra. “Non sono più io senza di te.” Mi stupisco che il valore che avevano le nostre vite insieme, quando ci siamo divisi, si sia disgregato in un attimo. Comincio a piangere silenziosamente, abbandonata sulla sua spalla. Voglio trovare il coraggio di perdonarlo, voglio fare un atto d’amore, solo così riuscirò ad accettare la sconfitta a testa alta e diventerò forte. Non è mai stato così tenero, accarezzandomi i capelli e la nuca, lasciando emergere tutto il mio dispiacere e accogliendolo dentro di sé, come una madre che consoli il figlio dopo aver subito un torto. Il nostro respiro prende lo stesso ritmo. Una pietra rotola via dal mio cuore e mi rivela il senso di ciò che stiamo vivendo. Dopo un paio di minuti palpito in una sensazione di leggerezza, qualcosa di familiare e insieme di nuovo, un’atmosfera di incorporeità, la mente libera, come se avessi buttato via i pensieri più ardui. Ho lottato perché il sentimento non si tramutasse in odio e l’odio offuscasse la sua immagine per sempre. Sono assurdamente e deliziosamente felice di essere tra le sue braccia. Se potessi, prolungherei questo momento all’infinito. Un soffio d’aria fresca aleggia d’improvviso dalla finestra aperta e scivola tra i nostri corpi, cancellando tutte le immaginazioni distruttive. I nostri animi si acquietano per l’incanto di ritrovarsi. Roberto sorride come se volesse attirarmi dentro di sé, lieto di poterlo fare ancora. “Grazie di aver ascoltato il cuore.” Non avverto più il caldo. Ho resistito nonostante le recriminazioni, il desiderio di vendetta e ho ritrovato la verità del nostro matrimonio sedimentata dal tempo. “Preferisco essere infelice con te piuttosto che felice senza di te.” E’ un’improvvisa stilettata la mia frase, reagisce con un sussulto appena percepibile, è una piccola vendetta dopo la resa. Si allontana dalla stanza, lo sento aprire il frigorifero in cerca di una bevanda fredda. Fino a poche ore fa annaspavo all’interno di realtà provvisorie. Adesso sta mutando la mia atmosfera interiore. Sono tornata lucida e avverto una sicurezza interiore che pensavo mi fosse preclusa per sempre. Comprendo che la chiusura verso di lui, nonostante i sentimenti siano rimasti intatti, custoditi nella profondità dell’animo, ha provocato l’insignificanza di questi mesi, ha congelato il mio essere in un vuoto di coscienza. Mi accorgo che l’ostinazione di non perdonarlo era dovuta al fatto di non voler accettare i miei limiti, alla convinzione di ritenermi così in alto e completa da non meritare nessuna infedeltà. Quando ritorna mi offre un po’ di menta fredda. “Sei ancora convinta che non sia possibile ricominciare?” Sorride, ma non è un sorriso vittorioso, piuttosto un desiderio impacciato, offuscato da un dubbio insidioso. “Proviamo. Chissà se il nostro rapporto troppo idilliaco non abbia avuto bisogno di questa prova per diventare vero.” Scopro per una specie di folgorazione, l’esistenza di un varco in cui si dispiega una libertà imprevista e illimitata, la libertà del perdono. Non mi ero mai sentita così libera accettando la sua colpa e liberandolo dal peso del nostro fallimento. Mi sono sciolta da lacci che mi tenevano avvinta e di cui ignoravo l’esistenza. La scoperta mi dà euforia. In un modo meraviglioso sono intenta a scoprirmi diversa da come pensavo e in grado di rinnovarmi interiormente. “Ricordi le ultime settimane, prima che ci separassimo?” gli chiedo. “Non eravamo più felici come prima. Non voglio dire che ti ho tradito per questo motivo, anche se è stata una reazione immatura e insensata.” “Penso che ci fosse una sfasatura tra noi. Qualche volta ero arrivata a pensare di lasciarti.” “Eri diventata insofferente nei miei confronti.” Mi torna in mente che nell’ultimo periodo, la passione era stata soppiantata da una normalità soporifera e deludente, e aveva inclinato il rapporto da una parte, come se avessi acquistato un potere su di lui. Una situazione che ci causava insoddisfazione, perché perseguivamo entrambi la parità nel rapporto.” “In un certo senso abbiamo pareggiato una differenza che minacciava di aprire una frattura insanabile.” “Il vero modo di ricominciare è quello di accettare le nostre povertà.” Esco a passeggiare da sola perché ho bisogno di tirare il fiato. Una placida calma si è riversata nelle strade e intride l’aria di mitezza. Com’è strano tornare con la memoria ai miei anni d’infanzia: l’età perfetta della vita. Si pensa sia l’innocenza, il male è invisibile. I sentimenti sono puri, non intrisi d’alcuna negatività; le lacerazioni dell’animo sono rare, forse siamo più vicini al cielo e non ancora radicati sulla terra. E’ questo fondo sereno che riemerge adesso, di balzo, bypassando gli ultimi mesi bui. E’ un dono inatteso del cuore. Sono grata a Dio. Il perdono ci ha riconciliato, riducendo la distanza tra noi più di quanto ha mai fatto il sentimento che ci unisce, e soprattutto so che le nostre imperfezioni ci renderanno più attenti e tolleranti l’uno verso l’altro. Una sensazione d’arrendevolezza di tutto il mio essere mi accompagnò fino alla fine dell’estate e mi trasmetteva un senso d'attesa gioiosa. Nei lunghi pomeriggi assolati, ritornavo con la memoria all’atmosfera visionaria di quel giorno, così ineffabile da sembrare irreale. Non ebbi più il desiderio di lasciarlo e non parlammo mai di lei. A volte mi soffermavo a rivivere quel pomeriggio interiormente. Allora in me inspiegabilmente, si apriva una sorgente di gioia.

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