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CUORI  SMARRITI 

di Montague Rhode James

Traduzione di Tina Mennella
Tutto cominciò, per quanto fui in grado di accertarmi, nel settembre del 1811, quando una diligenza si fermò davanti alla porta di Aswarby Hall, nel cuore del Lincolnshire.
Il ragazzino, che era l’unico passeggero del calesse, balzato fuori appena questo si era fermato, nel breve intervallo che trascorse tra il tintinnio del campanello e l’apertura della porta principale, si guardò intorno con la più viva curiosità.
Vide un’ampia casa, quadrata, in mattoni rossi, costruita durante il regno della regina Anna; all’originario stile classico del 1790 era stato aggiunto un porticato con pilastri di pietra; le finestre della casa erano numerose, alte e anguste, con vetri esigui e fitti intarsi di legno bianco. Un frontone, trapassato da una finestra ovale, incorniciava la parte anteriore. A destra e a sinistra c’erano ali laterali, collegate con il blocco centrale attraverso insolite gallerie invetriate, supportate da colonnati. Queste ali ospitavano evidentemente le scuderie e i servizi della casa. Ognuna era sormontata da una cupola ornamentale, con una banderuola dorata.
La luce serale brillava sull’edificio, facendo ardere i vetri delle finestre come se fossero tanti fuochi. All’esterno, nella parte anteriore, si allungava un parco pianeggiante, ornato di querce e circondato di abeti, che si stagliavano contro il cielo. L’orologio del campanile della chiesa, nascosto dagli alberi all’estremità del parco, - soltanto la banderuola in cima rifletteva la luce – batteva le sei e i rintocchi arrivavano lentamente  trasportati dal vento. Era tutto sommato un’impressione piacevole, sebbene permeata da una specie di melanconia tipica di una serata d’inizio autunno, quella che giunse alla mente del ragazzo in piedi nel portico, in attesa che la porta si aprisse. La diligenza lo aveva condotto dal Warwickshire, dove, circa sei mesi prima era rimasto orfano. Ora, grazie alla generosa offerta del suo anziano cugino, il Signor Abney, era venuto a vivere ad Aswarby. L’offerta era giunta inaspettata, perché tutti coloro che conoscevano il Signor Abney lo consideravano piuttosto un austero eremita, e l’arrivo di un ragazzino nella sua rigida vita familiare avrebbe introdotto un nuovo e, sembrava, incongruo elemento.
La verità è che si conosceva assai poco delle ricerche del Signor Abney o del suo carattere. Il Professore di greco di Cambridge sosteneva che nessuno conoscesse  i riti religiosi del tardo paganesimo più del proprietario di Aswarby. La sua libreria conteneva indubbiamente tutti i libri allora disponibili riguardanti i Misteri, i poemi orfici, il culto di Mitra e i Neo-platonici. Nella sala lastricata di marmo all’ingresso si ergeva un gruppo marmoreo di Mitra che sgozzava un toro, che era stato importato dall’Oriente con considerevole spesa del proprietario. Ne aveva redatto una descrizione per il Gentleman's Magazine e aveva scritto una serie eccezionale d’articoli nel Critical Museum sulle superstizioni dei Romani del Basso Impero.


In definitiva era considerato un uomo completamente immerso nei suoi libri, ed era un argomento di grande sorpresa tra i suoi vicini che fosse venuto a conoscenza del suo cugino orfano, Stefano Elliott e ancor più il fatto che si fosse offerto volontariamente per farne un inquilino di Aswarby Hall.
Qualsiasi siano state le aspettative dei suoi vicini, è certo che il Signor Abney - alto, smilzo, austero - sembrava incline a dare al suo giovane cugino una accoglienza cortese. Nel momento in cui la porta principale fu aperta, egli schizzò fuori del suo studio, sfregandosi le mani con soddisfazione.
'Come stai, ragazzo mio? – Come stai? Quanti anni hai? - disse - Cioè, non sei troppo stanco, spero, del tuo viaggio, per cenare? '
'No, grazie, signore, ' disse il signorino Elliott; sto piuttosto bene.'
'Che bravo giovanotto,' disse il Signor Abney - 'e quanti anni hai, ragazzo mio?'
Sembrava un po’ bizzarro che avesse fatto la domanda due volte nei primi due minuti della loro conoscenza.
'Ho dodici anni il prossimo compleanno, signore, ' disse Stefano.
'E quando è il tuo compleanno, mio caro ragazzo? L’undici di Settembre, eh? Bene, molto bene. Quasi un anno da adesso, non è vero? Mi piace, ha, ha! Voglio annotare queste cose nel mio taccuino. Sicuro che sono dodici? Certo?'
'Si, completamente sicuro, signore.'
'Bene, bene! Portalo nella stanza della Sig.ra Bunch, Parkes, e fargli prender il suo tè, cena, o quel che sia. '
'Si, signore.' Rispose serio il Sig. Parkes; e condusse Stefano nell’ala della servitù.  
La Signora Bunch era la persona più gentile e umana che avesse incontrato finora ad Aswarby. Lo fece sentire completamente a casa; in un quarto d’ora divennero grandi amici e grandi amici rimasero. La Signora Bunch era nata nei dintorni circa cinquantacinque anni prima dell’arrivo di Stefano, e la sua permanenza nella casa durava da venti anni. Di conseguenza, se qualcuno conosceva i pro e i contro della casa e del distretto, questi era la Signora Bunch; ed era per nulla riluttante a divulgare le sue informazioni. Sicuramente c’erano moltissime cose riguardo la casa e i suoi giardini di cui Stefano, che era sua volta di temperamento avventuroso e indagatore, era ansioso di ricevere spiegazioni: chi aveva costruito il tempio alla fine del sentiero tra gli alberi di alloro? Chi era il vecchio, ritratto nel quadro appeso sulle scale, seduto al tavolo, con un teschio tra le mani?' Questi e molti altri punti simili furono chiariti dalle risorse dell’acuta intelligenza della Signora Bunch. Ce ne furono altri, tuttavia, le cui spiegazioni ricevute furono meno soddisfacenti.

Una sera di novembre Stefano era seduto presso il fuoco nella stanza della domestica riflettendo su ciò che lo circondava.
“Il Signor Abney è un bravo uomo, e andrà in Paradiso?' , chiese improvvisamente, con la tipica fiducia che i bambini ripongono nella capacità degli adulti di risolvere simili questioni, la cui decisione si crede riservata a ben altri tribunali.
'Bravo? – benedetto ragazzo!' disse la Signora Bunch - il padrone è un’anima gentile quale non ne ho mai viste!! Non ti ho mai raccontato del ragazzino che prese dalla strada, circa sette anni fa? E la ragazzina due anni dopo, prima che io venissi qui?'
'No, raccontatemi tutto di loro, Signora Bunch – subito!'
 'Bene,' - disse la Signora Bunch – per quanto riguarda la ragazzina non mi sembra di ricordare moltoSo che il padrone la portò a casa di ritorno da una delle sue passeggiate un giorno, e ordinò alla Signora Ellis, che era allora la governante, di prendersene cura. La povera ragazza non aveva nessuno che gli appartenesse – me lo raccontò lei stessa – e visse qui con noi in sostanza tre mesi, e poi, forse, sia avesse qualcosa di zingaresco nel sangue o non, un mattino scappò dal suo letto, prima che qualcuno di noi avesse aperto occhio, e da allora se ne sono perse le tracceIl padrone fece circolare la voce e fece prosciugare tutti gli stagni; ma è mia opinione che lei fu portata via dagli stessi zingari, perché cantarono nei paraggi della casa per più di un’ora la notte che andò via, e Parkes dichiarò che aveva uditi i loro richiami nel bosco tutto quel pomeriggio. Cara, cara! Era una strana ragazza, dai modi così silenziosi, ma era meraviglioso avere a che fare con lei, così docile com’era, sorprendente.'
'E cosa mi racconta del ragazzino?' disse Stefano.
'Ah, quel povero ragazzo! - sospirò la Signora Bunch - era un forestiero, si chiamava Giovanni e girava pizzicando il suo organetto a manovella, quando il padrone, durante la passeggiata in un giorno d’inverno, lo avvicinò e si fece raccontare tutto, da dove proveniva, e quanti anni aveva, e come si manteneva e dove erano i suoi parenti, e quello che il suo cuore gentile poteva mai desiderare. Ma andò allo stesso modo con lui. Erano molto spaesati, entrambi stranieri, suppongo, e un bel mattino andò via, proprio come la ragazza. Perché se n’andò e cosa facesse, fu il nostro interrogativo per oltre un anno in seguito, dal momento che non prese il suo organetto, ed esso giace ancora là sulla mensola.'
Il resto della serata fu impiegato da Stefano in molteplici riflessioni incrociate su ciò che aveva detto la Signora Bunch e nello sforzo di estrarre un motivo dall’organetto. Quella notte fece uno strano sogno. Alla fine del corridoio in cima alla casa, in cui era situata la sua camera da letto, c’era un vecchio bagno in disuso. Era sprangato, ma la metà superiore della porta era a vetri, e poiché le tendine di mussola appese erano state rimosse da tempo, si poteva guardare dentro e vedere la direzione di linea della vasca, attaccata alla parete sulla mano destra, con la testa rivolta verso la finestra. Nella notte di cui sto parlando, Stefano Elliott si scoprì a guardare, così ricordava, attraverso la porta a vetri. La luna splendeva attraverso la finestra, ed egli guardava fisso la figura che giaceva nella vasca. La descrizione di ciò che vide mi ricorda quello che una volta osservai io stesso nelle famose cripte della chiesa di St. Michan a Dublino, cripte che possedevano l’orribile proprietà di preservare i corpi dal deperimento per secoli. Una figura indicibilmente magra e patetica, di un colore plumbeo coperto di polvere, avvolto in un indumento simile ad un sudario, le labbra sottili storte in un sorriso flebile e spaventoso, le mani pigiate ermeticamente sulla parte del cuore. Appena lo scorse, un remoto, quasi inaudibile lamento sembrò uscisse dalle sue labbra, e le braccia cominciarono a muoversi. Il terrore alla vista costrinse Stefano ad indietreggiare e si avvide che si trovava davvero in piedi sul freddo assito del corridoio nel fascio di luce proiettato dalla luna. Con un coraggio che non penso che sia usuale tra i ragazzi della sua età, arrivò alla porta del bagno per accertarsi se la figura del suo sogno era realmente là. Non c’era, e ritornò a letto. La Signora Bunch restò molto impressionata dal suo racconto il mattino successivo, e appena possibile andò a rimettere le tendine di mussola sui vetri della porta del bagno. Il Signor Abney, inoltre, a cui confidò la sua esperienza a colazione, si mostrò enormemente interessato e si appuntò la faccenda in quello che lui chiamava il “ suo taccuino”.
L’equinozio di primavera si stava avvicinando, come il Signor Abney frequentemente rammentava a suo cugino, aggiungendo che questo periodo era stato sempre considerato dagli antichi un periodo critico per un giovane: che Stefano facesse bene a prendersi cura di sé, e chiudere la finestra della sua camera di notte, e che Censorinus riportava alcuni preziosi commenti sull’argomento. Intorno a quel periodo accaddero due incidenti che impressionarono molto la mente di Stefano. Il primo avvenne dopo che aveva trascorso una notte insolitamente disagevole e opprimente - sebbene non potesse ricordare di avere avuto nessun sogno particolare. La sera successiva la Signora Bunch lo tenne occupato con un rammendo alla sua camicia da notte.
'Buon signorino Stefano! - proruppe in modo piuttosto irritato- come hai fatto a strapparla tutta da ridurla in questo modo? Guarda che guaio procuri ai tuoi poveri servitori che devono rammendare e accomodare per te. "
C’era, in effetti, una serie di strappi o squarci nell’indumento, per lo più irrecuperabili e all’apparenza casuali, che senza dubbio richiedevano un ago esperto per aggiustarli bene. Essi erano situati nella parte sinistra del torace, erano lunghe fessure parallele, di circa sei pollici di lunghezza, alcune non perforavano completamente il tessuto di lino. Stefano poté solo esprimere la sua assoluta ignoranza sulla loro origine: era sicuro che non ci fossero la notte prima.
'Ma, - disse- Signora Bunch, sono proprio simili ai graffi fuori della porta della mia camera, e sono sicuro, non ho niente a che fare con la loro comparsa.'
La Signora Bunch lo fissò a bocca aperta, poi afferrò una candela, uscendo in fretta dalla stanza, e lui la sentì andare al piano superiore. Venne giù dopo pochi minuti.
'Bene, - disse - signorino Stefano, è curioso come siano arrivati là quei segni e quei graffi, troppo in alto per essere stati fatti da qualsiasi gatto o cane, ancor meno un topo: per le unghie dei cinesi di tutto il mondo, come mio zio diceva prendendo il tè insieme, quando eravamo ragazze. Non vorrei dire nulla al padrone, neanche essere stata nei tuoi panni, signorino Stefano, mio caro, e gira la chiave nella porta, quando vai a letto. '
'Lo faccio sempre, Signora Bunch, appena ho finito di dire le mie preghiere.'
'Ah, che bravo ragazzo: dici sempre le tue preghiere , così nessuno può farti del male. '
Poi la Signora Bunch si trattenne a rammendare da sola la camicia danneggiata, fermandosi di tanto in tanto a riflettere fino all’ora di andare a letto. Era una notte di giovedì del mese di marzo del 1812.
La sera successiva al solito duetto di Stefano e della Signora Bunch si aggiunse l’arrivo improvviso del Signor Parkes, il maggiordomo, che di regola se ne stava piuttosto solo nella propria stanza di servizio. Non si accorse che Stefano era presente: inoltre, era turbato, e più propenso del solito a parlare.
'Il padrone può prendere il suo vino, se vuole, di sera! - fu il suo primo commento - o lo faccio di giorno o non lo faccio affatto, Signora Bunch. Io non so cosa sia: è probabile i ratti o il vento che soffia nelle cantine; ma io non sono così giovane come un tempo, e non posso attraversarle da un capo all’altro come ho fatto sempre.
'Bene, Signor Parkes, voi sapete che se c’è un posto stupefacente per i ratti, questo è la Casa '
Non sto negando questo, Signora Bunch; e per dirla tutta, molto tempo fa, da un uomo dei cantieri navali ho sentito il racconto su un topo che parlava. Non vi ho dato nessun peso, prima, ma stanotte, quando mi sono spinto a mettere l’orecchio al coperchio del bidone più lontano, ho potuto, molto agevolmente, sentire cosa stavano dicendo. '
'Su, SignorParkes, non ho pazienza con le vostre fandonie! Topi parlanti nelle cantine, sul serio!'
'Bene, Signora Bunch, non voglio discutere con voi. Tutto quello che so è che se voi provaste ad andare al bidone lontano, e metteste il vostro orecchio al coperchio, potreste verificare le mie parole, all’istante. ' 'Che cosa insensata dite, Signor Parkes – non adatto all’ascolto dei bambini! Perché state spaventando il signorino Stefano, che è là, pensoso.'
'Cosa ! Il signorino Stefano? - disse Parkes, accorgendosi della presenza del ragazzo- il signorino Stefano sa bene che sto scherzando con voi, Signora Bunch.'
In effetti, Stefano lo conosceva abbastanza bene da supporre che in un primo momento egli intendesse scherzare. Era incuriosito, sebbene non piacevolmente, della situazione; ma tutti i suoi argomenti furono inutili nell’indurre il maggiordomo a dare un resoconto un po’ più dettagliato della sua esperienza nella cantina.
Siamo arrivati adesso al 24 marzo 1812. Fu un giorno di accadimenti bizzarri per Stefano: un giorno ventoso, turbolento, che riempì la casa e i giardini di un che di inquietante. Mentre Stefano si trovava vicino alla recinzione del giardino, guardò fuori nel parco e avvertì come un’infinita processione di persone invisibili che irrompeva davanti ai suoi occhi, trasportati dal vento, incapaci di opporre resistenza e senza scopo, lottando inutilmente per fermarsi, decisi a catturare qualcuno che potesse arrestare la loro fuga e portarli ancora una volta a contatto con il mondo vivente di cui essi avevano fatto parte.
Dopo la colazione principale quel giorno, il Signor Abney disse:
'Stefano, ragazzo mio, pensi che potresti venire da me stanotte sul tardi, alle undici, nel mio studio? Sarò occupato fino a quel’ora e voglio mostrarti qualcosa di molto importante riguardante il tuo futuro, e che tu dovresti conoscere. Non devi parlare di questa faccenda con la Signora Bunch neppure con nessun altro nella casa, e faresti meglio ad andare nella tua camera alla solita ora.
Ecco qualcosa di eccitante che movimentava la sua vita: Stefano afferrò con entusiasmo l’opportunità di restare in piedi fino alle undici.
Sbirciò oltre la porta della libreria mentre saliva al piano superiore quella sera, e vide un braciere, che aveva notato altre volte nell’angolo della stanza, ora riempito di brace; una vecchia tazza argentata stava sul tavolo, colmata di vino rosso, e alcuni fogli scritti giacevano accanto. Il Signor Abney stava spargendo dell’incenso sul braciere da una scatola d’argento rotonda quando Stefano passò, ma non sembrò notare i suoi passi. Il vento era cessato ed era una notte di luna piena. Erano circa le dieci quando Stefano in piedi davanti alla finestra della sua camera guardava la campagna. Sebbene fosse una notte tranquilla, il misterioso popolo dei boschi in lontananza, illuminati dalla luna, non si era ancora acquietato per dormire. Di tanto in tanto strane grida come di vagabondi smarriti e disperati echeggiavano dallo stagno. Potevano essere le note delle civette o di uccelli acquatici, ma non somigliavano a questi suoni. Non venivano da più vicino? Ora provenivano da una parte più prossima all’acqua, e in pochi minuti sembrò che circolassero attraverso il boschetto. Poi cessarono, ma appena Stefano pensò di chiudere la finestra e riprendere la lettura di Robinson Crusoe, colse la vista di due figure in piedi sull’acciottolato che correva lungo un lato del giardino della Casa – le figure di un ragazzo e di una ragazza, sembrava; stavano l’uno accanto all’altra e guardavano su verso le finestre. Qualcosa nella forma della ragazza rievocò in modo irresistibile il suo sogno della figura nel bagno. Il ragazzo gli inspirò un timore ancora più acuto. Mentre la ragazza stava ancora in piedi, mezzo sorridendo, con le mani strette sul cuore, il ragazzo, una sagoma sottile, con i capelli neri e gli indumenti logori, sollevò le braccia in aria, con aspetto minaccioso e famelico, di una fame implacabile e avida. La luna brillò sulle sue mani quasi trasparenti, e Stefano vide che le unghie erano spaventosamente lunghe e che la luce riluceva attraverso di loro. Mentre stava con le braccia così elevate, scoprì un terrificante spettacolo. Sulla parte sinistra del suo petto si apriva uno squarcio nero, e là si concentrò l’attenzione di Stefano, mentre al suo orecchio arrivò uno di quegli urli affamati e desolati che aveva sentito echeggiare attraverso il bosco di Aswarby per tutta la sera. Un momento dopo quest’orribile coppia si mosse velocemente e silenziosamente sulla ghiaia asciutta, ed egli non li vide più.


Indicibilmente spaventato com’era, decise di prendere la candela e andare giù nello studio del Signor Abney, poiché l’ora designata per il loro incontro era prossima. Lo studio o libreria si apriva fuori dell’ingresso principale, su di un lato, e Stefano, pressato dalla paura, non impiegò molto tempo a raggiungerlo. Entrarci non fu così semplice. La porta non era chiusa, ne fu sicuro, perché la chiave era fuori come il solito. I suoi ripetuti colpi non ottennero risposta. Il SignorAbney era occupato: stava parlando. Cosa? Perchè cercava di gridare? E perchè il grido si soffocava in gola? Aveva visto anche lui i misteriosi ragazzi? Ma ora tutto era tranquillo, e la porta si aprì con una spinta di Stefano, terrorizzato e scosso.
Sul tavolo dello studio del Signor Abney si trovavano alcune carte che avrebbero spiegato la situazione a Stefano Elliott, quando egli avesse avuto l’età per comprendere. Le frasi più importanti erano le seguenti: 'C’è una credenza fortemente e generalmente accettata dagli antichi – della cui saggezza in queste materie ho avuto così tanta esperienza da indurmi a porre fiducia nelle loro asserzioni – che eseguendo certi processi, che a noi moderni rivelano qualcosa di inclinazione barbarica, può essere raggiunto un miglioramento molto notevole delle facoltà spirituali in un uomo: che per esempio, assorbendo le personalità di un certo numero di suoi individui simili, un individuo può guadagnare una completa ascendenza su quegli ordini di esseri spirituali che controllano le forze elementari del nostro universo. 'Ricordiamo Simone il Mago che era capace di volare nell’aria, di diventare invisibile, o di assumere qualsiasi forma che voleva, agendo sull’anima di un ragazzo che egli, per usare la diffamatoria frase impiegata dall’autore del Clementine Recognitions, aveva “assassinato". Trovo registrato, inoltre, con dettagli considerevoli, negli scritti di Ermete Trimegisto, che simili soddisfacenti risultati possono essere prodotti dall’assorbimento dei cuori di non meno di tre esseri umani sotto l’età di ventuno anni. Per verificare la verità di queste asserzioni ho dedicato la maggior parte degli ultimi vent’anni, selezionando come corpora vilia dei miei esperimenti persone che potevano essere rimosse convenientemente, senza causare un sensibile vuoto nella società. Il primo passo lo eseguii con la rimozione di una certa Phoebe Stanley, una ragazza di estrazione zingaresca, il 24 Marzo 1792. Il secondo con la rimozione di un giovanotto italiano nomade, chiamato Giovanni Paoli, la notte del 23 Marzo 1805. La “vittima” finale – per impiegare una parola ripugnante alla mia sensibilità in sommo grado – deve essere mio cugino, Stefano Elliott. Il suo giorno deve essere il prossimo 24 Marzo 1812. 'Il modo migliore per effettuare il richiesto assorbimento è rimuovere il cuore dal soggetto vivente, ridurlo in cenere e unirle con circa una pinta di vino rosso, preferibilmente porto. I resti dei primi due soggetti, infine, sarà bene nascondere: un bagno in disuso o una cantina sarà conveniente a questo scopo. Qualche fastidio potrà derivare dalla parte psichica dei soggetti, che il linguaggio popolare designa con il nome di fantasmi. Ma l’uomo di temperamento filosofico, a cui soltanto è adatto l’esperimento – sarà poco propenso a dare importanza ai deboli sforzi di questi esseri nello sfogare la loro vendetta su di lui. Medito con la più viva soddisfazione l’esistenza allungata ed emancipata che, l’esperimento, se riuscirà, mi conferirà; non soltanto con il pormi oltre la portata della giustizia umana ( così chiamata) ma spostando in sommo grado la prospettiva della stessa morte. '


Il Signor Abney fu trovato sulla sua sedia, la testa gettata lontano, con un’espressione di rabbia, terrore e panico mortale stampate sul viso. Sul lato sinistro c’era una terribile ferita aperta che mostrava il cuore. Non c’era sangue sulle sue mani e un lungo coltello posato sul tavolo era perfettamente pulito. Un feroce gatto selvatico potrebbe aver inferto il colpo. La finestra dello studio era aperta, ed era opinione del giudice che il Signor Abney era morto per mano di qualche creatura selvaggia. Ma le carte dello studio di Stefano Elliott che ho citato conducono a una conclusione molto diversa.


Il MAESTRO DELLA GHOST STORY




Montague Rhodes James o MRJ come amava firmarsi, nacque il 1° agosto 1862 a Goodnestone Parsonage, Inghilterra, dove suo padre era curato. Sviluppò ben presto una passione per i libri antichi, che lo rese un colto medievalista e uno studioso della Cristianità. Studiò prima a Eton e poi al King’s College di Cambridge dove divenne assistente di archeologia classica al museo Fitzwilliam. Con la tesi: “L’Apocalisse di S. Pietro” ricevette un incarico al King’s College. Più tardi ne divenne preside e poi rettore nel 1905. Per oltre un quarantennio catalogò le molte collezioni di manoscritti di Cambridge. Fu un brillante linguista e un esperto biblista. Pubblicò nel 1924 “The Apocryphal New Testament” e in seguito “The Lost Apocrypha of the Old Testamen”. Nonostante i suoi studi eruditi e le numerose pubblicazioni sull’Antichità, è conosciuto principalmente per le sue ghost stories. Seguendo una tradizione inglese, molti dei suoi trenta e più racconti furono composti come intrattenimento della vigilia di Natale e letti ad alta voce nelle riunioni d’amici. Affascinato dal soprannaturale, James perfezionò la tecnica letteraria del genere: con atmosfere suggestive e lasciando il lettore sospeso nel vuoto per poi scaraventarlo attraverso eventi orridi e bizzarri. E’ celebrato come un autore cult del genere horror, e indiscusso maestro della ghost story. H. P. Lovecraft fu grande entusiasta e lodò i suoi racconti, come la vetta raggiunta nel genere, nel suo studio “Supernatural Horror in Literature” (1925-27). Morì nel Kent, Inghilterra, nel giugno 1936.

Fonti bio-bibliografiche su MRJ

BIOGRAFIE:

Montague Rhodes James di Richard William Pfaff (Londra 1980).
M.R.James - An Informal Portrait di Michael A. Cox (Oxford 1983 ).
A Memoir of Montague Rhodes James, with a list of his writings by A.F.Scholfield, di S.G. Lubbock (Cambridge 1939).
J. Keith Elliott, The Apocryphal New Testament: A Collection of Apocryphal Christian Literature in an English Translation (Oxford 1993).
Ghost Stories 

Ghost Stories of an Antiquary (1904),
More Ghost Stories of an Antiquary (1911),
A Thin Ghost and Others (1919),
A Warning to the Curious and other Ghost Stories (1925).

Bibliografia di scritti sulle “GHOST STORIES” 
Molto è stato scritto sulle ghost stories di M.R.J. Ecco una selezione di libri:

Ackroyd, Peter, Albion: The Origins of the English Imagination (Chatto & Windus, 2002) Bleiler, E.V., The Guide to Supernatural Fiction (Kent State University Press, 1983)
Bloom, Clive, Creepers: British Horror and Fantasy in the Twentieth Century (Pluto, 1993) Briggs, Julia, Night Visitors: The Rise and Fall of the English Ghost Story (Faber, 1977)
Jack Sullivan (ed.), The Penguin Encyclopedia of Horror and the Supernatural (Viking, 1986) Campbell, Ramsey, Meddling with Ghosts: Stories in the Tradition of M.R. James (The British Library, 2001)
Cavaliero, Glen, The Supernatural & English Fiction (Oxford University Press, 1995)
Chabon, Michael, in M.R. James, Casting the Runes and Other Ghost Stories (Oxford World’s Classics USA, 2002)
Cox, Michael, in M.R. James, Casting the Runes and Other Ghost Stories (Oxford World’s
Duffy, Steve, in M.R. James, A Pleasing Terror: The Complete Supernatural Writings (Ash-Tree Press, 2001)
Fitzgerald, Penelope, in M.R. James, The Haunted Dolls’ House and Other Stories (Penguin, 2000)
Haining, Peter, in M.R. James: Book of the Supernatural (Foulsham, 1979)
James, M.R., A Pleasing Terror: The Complete Supernatural Writings (Ash-Tree Press, 2001).
Joshi, S.T., in M.R. James, Count Magnus and Other Ghost Stories (Penguin Classics, 2005)
James, A Pleasing Terror: The Complete Supernatural Writings (Ash-Tree Press, 2001)
Pardoe, Rosemary, in M.R. James, The Five Jars (Ash-Tree Press, 1995)
M.R. James, A Pleasing Terror: The Complete Supernatural Writings (Ash-Tree Press, 2001)
Penzoldt, Peter, The Supernatural in Fiction (Peter Nevill, 1952)
Pfaff, Richard William, Montague Rhodes James (Scolar Press, 1980)
Rendell, Ruth, A Warning to the Curious: The Ghost Stories of M.R. James (Hutchinson, 1987) Roden, Christopher and Barbara, in M.R. James, A Pleasing Terror: The Complete Supernatural Writings (Ash-Tree Press, 2001) 

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